Sulle tracce dell’acqua nel permafrost

16.02.2023  |  Christine Huovinen  |  News SLF

Il gruppo di ricerca Permafrost dell’SLF monitora le temperature del suolo nel permafrost e ne misura con nuovi metodi il tenore in acqua, che cresce a causa dal cambiamento climatico. In questo modo è possibile valutare meglio i processi alla base dei pericoli naturali, ma anche l’acqua disponibile in futuro nell’arco alpino.

Il fatto che il cambiamento climatico provochi un riscaldamento del permafrost è noto già da tempo. Tuttavia, il ritmo al quale quest’ultimo si scioglie stupisce persino gli esperti. Marcia Phillips, che dal 1996 conduce misurazioni all’interno di fori praticati nel permafrost svizzero volte a monitorarne le condizioni, dichiara: «Dal 2015 quasi un’estate su due è stata torrida e i suoli perennemente ghiacciati hanno subito profonde mutazioni. Le temperature del suolo hanno registrato un forte incremento, che in alcuni luoghi ha provocato perdite di ghiaccio e importanti reptazioni dei pendii». Ad esempio, i ghiacciai rocciosi – fenomeni tipici del permafrost nelle zone alpine, in cui si mescolano detriti e ghiaccio – oggi si spostano a valle molto più rapidamente rispetto a vent’anni fa. Dal loro fronte, spesso ripido, tende così a distaccarsi del materiale, cosa che a sua volta può provocare più frequentemente cadute di massi e colate detritiche.

Nuovo metodo di misurazione per le zone interessate dal permafrost

La scienza parte dal presupposto che i ghiacciai rocciosi contengano più acqua a causa del riscaldamento del ghiaccio, e pertanto si spostino più rapidamente che in passato. Tuttavia, finora non ci sono prove al riguardo. Una lacuna che Phillips, attualmente alla direzione del gruppo di ricerca Permafrost che fa capo al CERC, ha intenzione di colmare. Assieme al suo team ha testato sullo Schafberg sopra a Pontresina una nuova procedura che non era mai stata applicata nelle zone interessate dal permafrost: i ricercatori hanno combinato le misurazioni condotte finora sulla temperatura con altri rilevamenti relativi alla pressione dell’acqua e alla resistenza elettrica tra due fori. Quest’ultimo dato ha consentito di registrare quotidianamente e con una elevata risoluzione spaziale le variazioni della resistenza specifica nel suolo su una distanza di cinque metri. Combinando questi diversi metodi, i ricercatori sono riusciti a dimostrare per la prima volta che i rapporti acqua/ghiaccio nei ghiacciai rocciosi si diversificano molto su piccola scala, nonostante le temperature del ghiaccio varino di poco e siano prossime allo zero.

L’acqua come chiave di lettura

Metodi e risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista specializzata «The Cryosphere», e forniscono a Phillips una ulteriore motivazione per continuare la ricerca: «Sono convinta che la quantità e il flusso di acqua nel permafrost siano la chiave per comprendere molti movimenti di masse, anche profondi. Ora che abbiamo condotto con successo le misurazioni sullo Schafberg, applicheremo la stessa combinazione di metodi su altri ghiacciai rocciosi nell’ambito di un progetto del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica. Nel quadro di un altro progetto analizzeremo inoltre il ruolo dell’acqua nelle pareti rocciose instabili. Il nostro obiettivo è fornire ulteriori fondamenti per poter spiegare i movimenti di masse e i crolli di rocce osservati, ma anche per essere in grado di prevedere meglio la futura disponibilità di acqua nell’arco alpino».

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